t Kyoto Club | Cooperativa Gino Girolomoni Cooperativa Gino Girolomoni - Kyoto Club

Cooperativa Gino Girolomoni

Coop Gino Girolomoni, i #GreenHeroes dell’agricoltura bio

Sito web: www.girolomoni.it

Al di là della fantasia esistono storie che non hanno niente da invidiare ai migliori romanzi. Per esempio la storia di Gino Girolomoni e dei suoi vicini di campo, che dopo aver cambiato la storia dell’agricoltura ed essere riusciti a resuscitare una qualità di grano promettono di continuare a farci sperare.

Il monastero di Montebello è in cima alla collina. Tutt’intorno ci sono i campi seminati a grano di Gino Girolomoni e dei suoi amici. L’edificio è abbandonato, e neppure la chiesa è intenzionata a recuperarlo. Certo che è un peccato, almeno per Gino, Bruno Sebastianelli e Ivo Totti. E loro, contadini testardi, decidono di rimetterlo in piedi. Sono giovani, e riescono a trasformare il monastero in un posto dove incontrarsi.

In quel monastero, insieme a chi del paese si è aggiunto a loro, come Pierfrancesco Fattori, scoprono di essere d’accordo su come debba esser coltivata la terra. Non sanno dare un nome a quel loro metodo, ma sanno di avere ragione. Il mercato li costringe a fare cose che per loro sono innaturali, e si sentono come gli Indiani d’America forzati in una riserva. Sono gli anni ‘70 e la parola ”bio” non ha ancora senso, ma il significato a loro è chiaro. Decidono di unirsi in cooperativa, e la chiamano “Alce Nero”, certi che anche loro sconfiggeranno il generale Custer. È dura la battaglia a cui sono costretti, e l’assenza di leggi li espone a denunce continue da parte degli altri produttori. Ovviamente il loro grano, la loro farina e i loro prodotti sono inattaccabili, e Alce Nero vince tutte le cause. Economicamente la situazione però non è facile e, per continuare a lavorare come vogliono, sono costretti a vendere il loro marchio, ormai diventato famoso, per ricominciare da capo.

La nuova cooperativa si chiamerà Montebello, in onore del monastero dove è tutto cominciato. Sono gli anni ‘90 e, in tutto il delirio della nascita della nuova coop arrivano tra le mani di Gino e dei suoi amici spighe di grano di migliaia di anni fa. L’archeologo Paride Allegri, che ha appena perduto la figlia, ha scoperto in uno scavo delle spighe antichissime. Le consegna ai contadini, chiedendo in pagamento una promessa: se riusciranno a far germogliare quei semi dovranno chiamare il grano come sua figlia. Ci mettono anni. Ma alla fine il grano “Gabriella Rà” germoglierà. È il primo grano che la cooperativa di Montebello riesce a riportare in vita. Un grano -  di tipo turanicum - ricchissimo, che li spinge a investire sulle sementi. Loro che hanno inventato il biologico in Italia sanno che il grano di oggi non potrà reggere ai mutamenti climatici. D’altra parte, non vogliono che si usino sementi modificate geneticamente, e preferiscono fare alla loro maniera. Nel 2008 iniziano ad investire nell’ibridazione di specie, incrociando tipi diversi di grani, come da secoli si fa, per produrre un chicco resistente al clima che arriverà.

Leggi l'articolo originale


↖ torna alla mappa


↑ torna in cima