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R.I.U.S.E., i #GreenHeroes del recupero degli abiti usati

Sito web: www.consorziofarsiprossimo.org/component/tags/tag/58-rete-r-i-u-s-e

Ci sono cose, come i vecchi indumenti, che stentiamo a gettare nei rifiuti perché, pur ritendendoli non più utili a noi, li consideriamo ancora utilizzabili. E cerchiamo di dare una seconda vita a quei vestiti che non usiamo più, certi che qualcun altro possa indossarli. Ma se un cappotto, una maglia, un paio di pantaloni fossero troppo logori e nessuno li volesse? Le alternative sono due: o finire in discarica, o generare centinaia di posti di lavoro, milioni di euro di fatturato e far risparmiare l’emissione di tonnellate di CO2 e lo spreco di miliardi di litri d’acqua.

Il mercato del riciclo e del riuso in Italia rappresenta l’1% dell’intero Prodotto Interno Lordo e, tra i tanti materiali che vengono reimmessi nel circuito economico, i vecchi indumenti sono gli storici precursori di quel processo virtuoso che è l’economia circolare. In Italia, da sempre, questo si è tradotto nell’usanza di dare i vecchi capi a parenti e amici o in parrocchia, affinché continuino a fare la loro funzione. Ancora oggi le diocesi e le organizzazioni sociali raccolgono e smistano tonnellate di indumenti costituendo il primo tassello della complessa gestione dei rifiuti urbani tessili.

Un processo così oneroso che in Francia esiste una tassa imputata ad ogni nuovo capo venduto, pensata per coprire i costi del fine ciclo. In Germania la raccolta degli abiti usati viene appaltata come un qualunque altro servizio erogato alla collettività, mentre in Italia questa funzione è demandata alla libera iniziativa e chi se ne occupa può contare esclusivamente sul ricavato dell’eventuale vendita.

Ma quanti vecchi abiti buttiamo noi italiani? I “cassoni gialli” ogni anno raccolgono circa 130.000 tonnellate di materiale che alimentano una filiera produttiva che dopo la raccolta deve gestire lo stoccaggio, la vendita, il trattamento e la trasformazione di questa merce. Sono molte le aziende impegnate nella filiera ma alcune di queste, oltre ad erogare questo prezioso servizio ambientale e a creare posti di lavoro, riescono ad aggiungere l’aspetto sociale generando una sostenibilità completa, come nel caso della rete delle cooperative R.I.U.S.E. 

Promossa dalla Caritas Ambrosiana, e formata dalle cooperative italiane che sin dagli anni ‘90 compresero quanto il riuso e riciclo degli abiti usati fosse importante, la rete di cooperative sociali R.I.U.S.E. (sta per Raccolta indumenti usati solidale ed etica) ha recuperato in venti anni l'equivalente di una piramide con una base uguale allo Stadio di San Siro e un'altezza di 360 metri. In tutto parliamo di 152.000 tonnellate di materiale, che per il Pianeta si sono tradotte in un risparmio di 42.000 tonnellate di emissioni di CO2 e di 70 miliardi di litri d'acqua.

R.I.U.S.E., con circa 90 addetti (di cui il 60% composta da soggetti fragili o svantaggiati) e oltre 4 milioni di euro di ricavi reinvestiti in progetti sociali in questi mesi di lockdown ha continuato il suo lavoro da #GreenHeroes, malgrado la filiera fosse bloccata e rischiando il collasso, sia economico che operativo. Non potendo contare sugli utili della vendita, e vedendo riempirsi i propri magazzini, il comparto della raccolta dei rifiuti tessili sta rischiando il blocco. Uno stop che non possiamo permetterci e che speriamo sia al più presto scongiurato.

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