Mobilità: si a pluralità di tecnologie, ma neutralità tecnologica poco convincente. L’intervista su Watergas ad Anna Donati di Kyoto Club

Leggi l'intervista ad Anna Donati, Coordinatrice del Gruppo di Lavoro “Mobilità sostenibile” di Kyoto Club.

18 luglio 2024

Il termine “neutralità tecnologica” viene utilizzato “troppo spesso in modo improprio per criticare – in riferimento al settore della mobilità –  la transizione verso l’elettrico. Quindi, ci convince poco il termine neutralità tecnologica, ma crediamo molto nella pluralità tecnologica”. L’intervista su Watergas ad Anna Donati, Coordinatrice del Gruppo di Lavoro “Mobilità sostenibile” di Kyoto Club.

La transizione energetica nella mobilità richiede un approccio inclusivo nei confronti di tutti i vettori energetici: dai prodotti tradizionali decarbonizzati ai biocarburanti e ai carburanti sintetici, dall’idrogeno al GNC e al GNL, dall’elettrico alla ricerca avanzata per carburanti sempre più green. Può farci un quadro della situazione attuale in Italia?

Kyoto Club è favorevole a una pluralità tecnologica, ritenendo che si faccia troppo spesso ricorso al termine neutralità tecnologica in modo improprio per criticare – in riferimento al settore della mobilità –  la transizione verso l’elettrico. Quindi, ci convince poco il termine neutralità tecnologica, ma crediamo molto nella pluralità tecnologica per diversi motivi:

  • l’obiettivo zero emissioni al 2050 dovrà essere perseguito in tutti i settori (trasporti, edilizia, energia, ecc.) ed è per questo che ogni strategia che introduciamo per il futuro dovrà tenerne conto che si tratta di una missione. Siamo consapevoli che è una sfida molto complessa che necessita di un impegno corale per raggiungerlo.
  • Efficienza di sistema: si parla spesso di determinate tecnologie da applicare a uno specifico settore, mentre la stessa tecnologia è più utile in un altro campo. Ad esempio, nel settore marittimo ed aereo, in cui le tecnologie elettriche sono ancora difficilmente utilizzabili, è opportuno ricorrere a tecnologie di transizione (gas, biometano, GPL, biofuel, carburanti sintetici) perché in questo modo si riesce a ridurre da subito l’impronta di carbonio, mentre si promuove la ricerca delle soluzioni a zero emissioni di lungo periodo.
  • Se ho una tecnologia promettente e matura, come l’elettrico, converrà utilizzarla in settori in cui è una soluzione reale, come i veicoli leggeri per le persone e le merci, che sia scalabile su vasta scala. Ragioniamo sempre in termini di energia rinnovabile affinché si possa raggiungere l’obiettivo di emissioni zero al 2050.
  • Per i veicoli commerciali leggeri, in base a quanto appena spiegato, l’idrogeno infatti non è efficiente, perché il sistema di produzione consuma energia, che può viceversa essere direttamente utilizzata dal veicolo con batteria e sistema di accumulo. Riguardo all’idrogeno verde, riteniamo che in certi settori possa essere interessante proprio lì dove non c’è la maturità per utilizzare altre tecnologie sempre da fonti rinnovabili, a condizione che anche la vicinanza tra produzione, rifornimento e consumo sia effettiva per garantire efficienza al sistema nel suo complesso.

In Italia siamo molto indietro e, soprattutto nel settore dei trasporti, non si è ancora intrapresa la strada della decarbonizzazione. Ci troviamo all’inizio di un percorso, sia riguardo al traporto pubblico, sia per il trasporto merci. Anche sui veicoli elettrici siamo ancora molto indietro rispetto al resto d’Europa. E nel complesso manca una strategia industriale nazionale per agevolare questo percorso.

A questo proposito proprio nei mesi scorsi Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini ha criticato l’orientamento dell’Unione Europea, a suo avviso troppo orientate ad una transizione verso i motori elettrici che favoriscono competitor come la Cina. Cosa ne pensa?

Per poter raggiungere la decarbonizzazione abbiamo bisogno di: produzione di energia da fonti rinnovabili, veicoli puliti, infrastrutture di ricarica, batterie, ecc. Stiamo parlando di una scelta fatta dalla Commissione europea e dal Parlamento EU, ormai definitiva, che dà una direzione precisa al settore industriale, ai consumatori, ai paesi dell’Unione. La questione del fine vendita (al 2035 per i veicoli leggeri e 2040 per il 90% dei veicoli merci pesante) diventa un orizzonte temporale con cui tutti dovranno farei i conti, soprattutto il sistema industriale, che ha bisogno di tempi lunghi per riorganizzare le produzioni.

Parliamo di almeno dodici anni. Il percorso è complesso perché implica una nuova generazione di veicoli elettrici. Non ne farei una questione nazionale, perché molte aziende come Stellantis non sono neanche solamente italiane ormai. L’elettrificazione richiede un forte sviluppo di energia rinnovabile e questo è un presupposto essenziale.

Sulle infrastrutture di ricarica ricordo che è entrata di recente in vigore il Regolamento AFIR che dà delle linee guida su quante infrastrutture di ricarica vanno istallate sulle reti delle infrastrutture (strade ed autostrade) e i nodi urbani.

Dai recenti dati a cura di Motus-e, ci dicono che  non è corretto dire che in Italia, in relazione ai veicoli elettrici immatricolati, ci sono poche colonnine di ricarica. Anzi, i dati ci dicono il contrario (il problema è più legato a dove sono collocate le colonnine). Si sta lavorando molto su app che consentono il monitoraggio delle infrastrutture di ricarica elettrica.

Il tema delle batterie a mio avviso è ancora problematico in quanto è vero che siamo dipendenti dalla Cina, ma questo ci fa riflettere su quanto – anziché contestare la Commissione europea come ha fatto Salvini – bisogna cavalcare uno dei progetti della Commissione europea: l’Alleanza europea per le batterie (EBA – European Battery Alliance), cercando di installare anche nel nostro Paese un settore industriale delle batterie, che necessita di una forte ricerca e di innovazione e produzione.

Evitando di stilare la lista di “problemi” per fermare il settore elettrico, mentre è importante invece promuover l’Alleanza per le batterie europee anche in Italia, dove siamo ancora molto indietro rispetto agli altri paesi.

Si tratta di abbracciare una trasformazione che può avere impatti notevoli anche sul mondo del lavoro. Il settore dell’automotive in Italia ha già perso in vent’anni oltre il 20% dei suoi addetti: diventa fondamentale che la transizione verso l’elettrico sia una opportunità per non perdere ulteriore lavoro ma anzi per ottenere esattamente l’opposto, con nuove professionalità e profili. Per questo abbiamo promosso come Kyoto Club insieme ad altre associazioni  l’Alleanza Clima Lavoro, una rete di confronto con il sindacato ed il mondo del lavoro su questi temi, per proporre una giusta transizione, che coniughi ambiente e lavoro.

Quali ostacoli ancora persistono per lo sviluppo di una mobilità più sostenibile?

Dobbiamo indubbiamente potenziare il trasporto ferroviario (sia destinato alle merci, che il trasporto urbano locale). Va potenziato il trasporto collettivo nelle città, la mobilità attiva, la sharing mobility, insieme a quel mix di soluzioni che possono ridurre la necessità di utilizzare l’automobile, che viene purtroppo utilizzata ancora da troppi cittadini, anche per spostamenti sotto i 5 km (che sono la metà nelle nostre città). Il modello auto rappresenta un problema di spazio pubblico (in termini di spazio occupato), di congestione del traffico, di inquinamento, di emissioni di gas serra.

Nelle città più sostenibili troviamo una maggiore mobilità attiva, trasporto collettivo e più reti tranviarie, più metro e in generale più ferro (le grandi città sostenibili). Grazie anche ai fondi PNRR molti investimenti sono già in corso di realizzazione. Naturalmente nelle città italiane storiche non è facile realizzare nuove infrastrutture; quindi, anche fare i confronti a volte potrebbe essere fuorviante, però sicuramente sono questi i settori a cui puntare.

Quindi dal punto di vista normativo cosa servirebbe?

Le norme in Italia ci sono e sono di derivazione europea. Vorrei sottolineare che occorre puntare su un piano industriale per la mobilità sostenibile che metta insieme le esigenze specifiche delle città con le necessità delle imprese e del mondo del lavoro per disegnare una strategia comune di lungo periodo, che sostenga la transizione energetica, senza lasciare indietro nessuno.

Gli incentivi vanno bene in una fase iniziale tecnologica, per poter incoraggiare, visti gli alti prezzi, ma in una prospettiva di mercato dovrebbe essere evitato l’incentivo prediligendo una messa in campo di risorse nel settore industriale che possa così favorire una vera transizione dei vari comparti, in cui si basa stabilmente il costo dei veicoli e dei servizi.

Come è posizionata l’Italia rispetto agli altri Paesi europei?

Il nostro Paese non è posizionato molto bene. Per sostenere l’elettrico nel settore dei trasporti, ad esempio, in altri paesi e città in Europa viene messo un pedaggio gratuito e sosta gratuita, anche nelle autostrade. Riguardo ai Veicoli del trasporto merci pesante in Italia si dà un incentivo per il cambio veicolo (un incentivo di un importo pari a € 25.000 – indistintamente) che sia un veicolo elettrico o meno senza, perciò, considerare che i costi del veicolo elettrico sono di gran lunga più elevati.

Solo adottando un’incentivazione ragionata, come avviene per esempio in Germania dove si danno 80.000 € per i TIR elettrici, un autotrasportatore nel nostro Paese valuterebbe interessante anche sul piano dei costi, un cambio di veicolo in elettrico.

Proprio su questi temi il Gruppo di Lavoro “Mobilità sostenibile” di Kyoto Club e CNR-II hanno redatto il Rapporto MobilitAria, presentato lo scorso maggio, e ha redatto un position paper sulla mobilità elettrica, con il contributo di A2A. Qualche spunto?

Il Rapporto MobilitAria 2024 offre un approfondimento sui temi della qualità dell’aria, sicurezza stradale e città 30. Contiene un indice sintetico che misura lo stato della mobilità sostenibile delle città, che in questa edizione è stato aggiornato con i nuovi dati, esteso a quattro città (Bergamo, Padova, Parma, Prato) che insieme a Bologna, Firenze, Milano, Roma e Torino fanno parte delle città NETZERO 2030 (selezionate dalla Commissione Europea per raggiungere un impatto climatico zero entro il 2030), e integrato con nuovi indicatori. Emerge un numero per ognuna delle 18 città che dimostra la distanza tra la situazione odierna ed il 2030, che corrisponde al “Deficit sintetico divario 2020-2021 rispetto all’obiettivo 2030 di decarbonizzazione e mobilità sostenibile” da cui è stata poi stilata la “classifica” del Deficit sintetico.

Kyoto Club, insieme a Clean Cities Campaign, ha lanciato online lo scorso anno l’Osservatorio sulla mobilità sostenibile nelle città italiane che offre un monitoraggio sullo stato della mobilità in città, grazie a grafici con i principali indicatori. Ogni pagina dell’Osservatorio è dedicata a una città, e contiene un riassunto del Piano Urbano della Mobilità Sostenibile, grafici con i principali indicatori della mobilità e aggiornamenti sui principali temi. L’Osservatorio monitora la situazione della mobilità nei 14 comuni capoluogo di città metropolitana e nelle nove città che partecipano alla “Missione: 100 città climaticamente neutre e intelligenti entro il 2030” della Commissione Europea. Ed è una risorsa a disposizione di amministratori, giornalisti e società civile. I dati presentati nei grafici fanno riferimento a fonti ufficiali, in particolare ISTAT, ma anche ISPRA ed EEA (Agenzia Europea per l’Ambiente).

Il position paper sulla mobilità elettrica a cura di Kyoto Club con il contributo di A2A sono affrontati molti dei temi appena citati: batterie, veicoli, trasporto merci e trasporto pubblico locale. Partendo da un’analisi di un quadro europeo, il documento offre un approfondimento sul tema della mobilità elettrica da cui emerge che la transizione verso la mobilità elettrica garantirà una significativa riduzione delle emissioni inquinanti, soprattutto in ambito urbano.


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