L’inganno della decarbonizzazione basata sulla cattura e stoccaggio e uso della CO2. Una lettera aperta indirizzata a Mattarella e a Draghi
Tra le autorevoli firme della lettera inviata al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella e al Presidente del Consiglio dei Ministri, Sergio Draghi, quella di Gianni Silvestrini, Direttore scientifico di Kyoto Club. Leggi la lettera.
Le autorevoli firme di personalità provenienti dal mondo della scienza e dell’energia, nella lettera spiegano come i progetti a favore delle fonti fossili, come lo stoccaggio della CO2, come il progetto di Eni di “Carbon Capture Use and Storage” (CCUS) non siano accettabili, da un punto di vista socio-economico, ambientale e anche industriale.
Nella lettera si legge che “di recente alcuni organi di stampa hanno ipotizzato che i 150 mln di euro indicati all’art. 153 della legge di Bilancio 2022 possano essere destinati al finanziamento del maxi deposito di CO2 che Eni intende realizzare nell’Alto Adriatico.
Il MISE, interrogato, non ha né smentito né confermato. L’uso e lo stoccaggio della CO2 (il cosiddetto CCUS, CarbonCapture Use and Storage) è realmente una tecnologia socialmente accettabile?”
Si legge ancora nella lettera:
Proviamo a rispondere.
Se vogliamo proteggere e salvare l’umanità e il pianeta e invertire decisamente la rotta dell’attuale
surriscaldamento globale provocato dai gas climalteranti c’è una sola strada percorribile: diminuire
drasticamente e con urgenza l’uso dei combustibili fossili. Gli obiettivi dell’Europa sono chiari:
ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra (principalmente CO2 e metano) di almeno il 55 %
entro il 2030 e diventare il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050.
Il CCUS è realmente una tecnologia socialmente accettabile? La risposta può essere trovata
andando a fondo di questioni in parte note.
Primo. Le compagnie petrolifere sono tra le principali responsabili delle emissioni di gas
climalteranti di cui abbiamo imparato a riconoscere e misurare gli effetti – disastrosi – su scala
planetaria. Le attività di produzione di energia sono responsabilidel 75% delle emissioni di gas
serradell’U.E. (EEA, 2021) ed oggi il sistema energetico dell’UE si basa per tre quarti sui
combustibili fossili. Su altro fronte, la TransitionPathwayInitiative (TPI) nel suo “Carbon
Performance of European Integrated Oil and Gas Companies: Briefing paper” afferma che nessuna
big del petrolio -Eni un po’ meno delle altre- ha strategie e piani coerenti con il raggiungimento del
fatidico obiettivo dei +1,5 °C entro fine secolo rispetto ai livelli preindustriali.
È irragionevole chiedere che l’industria del petrolio debba innanzitutto rimettere ordine in casa
propria, attingendo a risorse proprie senza scaricare sulla fiscalità generale l’onere degli
investimenti necessari per la decarbonizzazione?
I costi “esterni” delle attività petrolifere (sia upstream sia downstream) sono ampiamente pagati
dalla collettività in termini di decessi, maggiore spesa sanitaria, perdite di raccolti e di giornate di
lavoro, perdita di P.I.L., ecc. ecc., causati dal cambiamento climatico.
E’ socialmente accettabile, dunque, che siano proprio le vittime delle emissioni di gas climalteranti
a dover risarcire i “carnefici”, già abbondantemente assistiti con 19 miliardi di euro l’anno di
Sussidi Ambientalmente Dannosi, sopportando per una seconda volta il costo dell’abbattimento
della CO2?
Secondo. L’iniezione e lo stoccaggio della CO2 nei pozzi in via di esaurimento o già esauriti daranno
nuova linfa alle attività estrattive di gas e petrolio. Non è casuale che lo stoccaggio del carbonio
sotterraneo su scala commerciale sia stato finora effettuato solo in giacimenti di petrolio o gas
operativi (recupero avanzato di petrolio/gas) e non in altre formazioni geologiche.
Per l’Europa, l’associazione Oil& Gas Europe ha fornito un elenco di progetti aggiornato a luglio
2021: solo tre progetti tra quelli in elenco sono operativi e tutti sono associati al recupero di
petrolio e/o gas naturale. Si tratta di una semplice coincidenza?
La CO2 può essere iniettata in giacimenti di petrolio/gas esauriti (o quasi esauriti) per
aumentare la loro pressione e fornire la forza trainante per estrarre petrolio e gas residui,
mentre la CO2 iniettata rimane lì immagazzinata. Così facendo può essere estratto fino al
40% dell’olio residuo rimasto in un giacimento dopo la produzione primaria. Gli studi CO2-
EOR (Carbon Dioxide Enhanced Oil Recovery) del Massachusetts Institute Technology basati sui
casi Weyburne Apache Midale (Canada) hanno dimostrato che l’EOR ha aumentato la produzione
dal giacimento Weyburn di Cenovus di 16.000-28.000 barili al giorno e da 2.300 a 5.800 barili al
giorno per il giacimento di Apache Midale, e che L’EOR dovrebbe consentire la produzione di
ulteriori 130 milioni di barili di petrolio, prolungando la vita del giacimento di Weyburn di 25 anni.
Un dubbio ed una domanda sorgono spontanei:
Eni intende forse incrementare i quantitativi estratti e prolungare il ciclo di vita dei giacimenti nell’Alto Adriatico iniettando e stoccando CO2 nei suoi pozzi più longevi?
È socialmente accettabile continuare ad estrarre quantità aggiuntive di gas e nuovo petrolio per altri 25 anni grazie alla tecnologia del CCUS?
Terzo. La cattura, il trasporto e lo stoccaggio della CO2 sono parte di un processo circolare che
vede al suo centro la produzione di idrogeno da fonti fossili (idrogeno blu).
Nel suo recente paper “Analysing future demand, supply, and transport of hydrogen”, European
Hydrogen Blackbone conclude che l’idrogeno è fondamentale per la trasformazione dell’Europa in
un continente neutro dal punto di vista climatico e che nell’U.E. e nel Regno Unito al 2050
potrebbe registrarsi una domanda di idrogeno di 2,300 TWh, pari al 20-25% dei consumi finali di
energia. In questa partita l’idrogeno blu, i cui progetti hanno una durata pari ad almeno 25 anni,
potrebbe giocare un ruolo importante.
Finanziare il CCUS significherebbe dunque dare la stura alla produzione di idrogeno blu e, di
conseguenza, all’estrazione ed al consumo di gas in un orizzonte temporale che si spinge fino al
2050, ben oltre, quindi, il punto di non ritorno.
Sono questi i tempi di una transizione sostenibile?
Anche questo è socialmente accettabile?
Quarto. Lo stoccaggio di CO2 in pozzi in via di esaurimento o già esauriti esime i concessionari di
coltivazione dall’effettuare costosissime attività di ripristino ambientale: dai 15 ai 30 milioni di
euro per singola piattaforma, secondo il Roca di Ravenna. Considerato che le piattaforme di Eni in
mare sono 138 (fonte: Progetto Poseidon, Eni), riconvertire le stesse piuttosto che smantellarle
eviterebbe costi stimabili mediamente in oltre 3,15 miliardi di euro. Perché polverizzare gli
investimenti già fatti in opere per la ricerca e l’estrazione di idrocarburi -si chiedono gli iscritti al
partito fossile- quando quelle stesse infrastrutture potrebbero essere riutilizzate per stoccare la
CO2? Per quale ragione -si interrogano invece altri-, per evitare di appesantire i bilanci delle
compagnie Oil&Gas, la collettività dovrebbe contribuire al finanziamento di costosissimi progetti
privati di cattura, trasporto, iniezione e stoccaggio di CO2?
Siamo alle solite: si privatizzano i profitti e si socializza tutto il resto, esternalità negative
comprese.
Quale straordinaria concentrazione di intelligenze sarebbe in grado di farlo digerire
all’opinione pubblica?
Quinto. Eni sa perfettamente, e non da ieri, che il CCUS costituisce un’arma formidabile per
sviluppare un nuovo mercato, con potenzialità e profittabilità come pochi altri. Eni ed Enel ci
avevano già lavorato sopra, giungendo a perfezionare nel 2008 un accordo strategico di
cooperazione per lo sviluppo delle tecnologie di cattura, trasporto e stoccaggio dell’anidride
carbonica. La CO2 estratta dalla centrale Enel a carbone di Brindisi, una volta liquefatta, avrebbe
dovuto essere un giorno stoccata da Eni nel giacimento esaurito di Stogit a Cortemaggiore.
Due anni prima, nel 2006, al termine degli studi condotti sui possibili depositi sotterranei della
CO2nel quadro del progetto Confitanet, a cui prese parte anche l’Eni, l’INGV era giunto ad
affermare che “I potenziali di stoccaggio nel nostro paese ci permetterebbero tranquillamente di
mandare avanti le nostre centrali a carbone ed a gas naturale con criteri ZEFFPP (Zero Emissions
Fossil Fuel Power Plant) e di ripulire i cieli dalle ingenti emissioni delle nostre raffinerie”, mentre
nell’ottobre del 2007 Il Sole 24 ORE si era spinto fino a prefigurare la nascita di un mercato della
CO2 di dimensioni planetarie “fatto di impianti innovativi per la cattura e il trattamento delle
emissioni di centrali a carbone di nuova generazione, di gasdotti per la CO2, pompaggio negli strati
geologici profondi (acquiferi salini sotto i 1500 metri, a prova anche di rischio sismico), di unità di
controllo e monitoraggio dei depositi, non molto diversi da quelli oggi utilizzati per il metano dalla
Stogit” in cui … “… i gestori elettrici che l’adotteranno non dovranno più acquistare i certificati
verdi, ma anzi ne riceveranno gratuitamente perché dotati di impianti che vanno ben oltre i limiti di
emissioni prefissati nel trattato (di Kyoto)”.
Se questo un giorno dovesse accadere, sarebbe da biasimare? Tutto sommato la nostra è
un’economia di mercato …
Le cose non stanno esattamente così. In un Paese in cui la partita energetica la giocano in pochi
(Eni, Snam, Terna ed Enel), con il placet di Governo, Parlamento, ARERA, Autorità per la
concorrenza e Cassa Depositi e Prestiti; in cui il mancato insediamento della Commissione Pniec Pnrr sta causando gravi ritardi nel processo di autorizzazione di centrali solari con potenza
maggiore di 10 MW; in cui Stato e Regioni non riescono a trovare la quadra sul permitting di
impianti per la produzione di energia da fonte rinnovabile; in cui appare sempre più inverosimile
raggiungere l’obiettivo, tanto caro al Ministro Cingolani, di 114 gigawatt rinnovabili al 2030, il
CCUS si candida ad essere una comoda scorciatoia (in attesa del nucleare, ovviamente!) e rischia di
compromettere seriamente un serio percorso di decarbonizzazione del sistema di produzione e
consumo che dovrebbe avere invece nella razionalizzazione/taglio selettivo dei consumi
energetici, nella ricerca dell’efficienza e nella crescita della generazione distribuita i pilastri di un
modello energetico realmente sostenibile.
Lettera aperta al Capo dello Stato e al Presidente del Consiglio dei Ministri (PDF)