Intervista con Luca Mercalli, Presidente della Società Meteorologica Italiana

La Società Meteorologica Italiana si associa a Kyoto Club: da tutto lo staff un caloroso benvenuto. Con piacere abbiamo intervistato il Presidente Luca Mercalli. Leggi l'intervista.

21 settembre 2023

Luglio 2023 è stato il mese più caldo mai registrato secondo la Nasa, mentre l’IPCC nel suo ultimo report sostiene che è in corso un’accelerazione preoccupante dei cambiamenti climatici. Come valuta l’attuale situazione climatica globale?

Questi dati, che abbiamo registrato nel corso del 2023, confermano quanto è purtroppo atteso da tutti gli scenari scientifici da oltre trent’anni.

Il riscaldamento globale aumenterà la frequenza e l’intensità dei fenomeni climatici estremi. Durante l’estate lo abbiamo potuto vivere nel nostro Paese, così come in altre parti del mondo. Tra questi eventi estivi estremi, cito:

  • la grandine di oltre 1 kg caduta in Friuli – Venezia Giulia e in Lombardia (dimensione della grandine massima mai registrata prima in Europa);
  • gli incendi in Canada dove si sono verificati più di sei mila incendi nell’estate appena trascorsa. Ricordiamo che gli incendi non sono un fenomeno diretto del cambiamento climatico, ma sono una sua conseguenza in quanto lunghi periodi di siccità e di alte temperature rendono le foreste infiammabili e quindi soggette a incendi incontrollabili;
  • i dati record di temperature mai registrate prima in tutto il mondo;
  • le alluvioni come quelle che si sono verificate in Emilia-Romagna a maggio scorso (due alluvioni consecutive in 15 giorni).

I recenti eventi climatici estremi degli ultimi mesi (pensiamo ai paesi a noi più vicini quindi le alluvioni in Grecia e in questi giorni in Libia) dimostrano che nel Mar Mediterraneo il clima sta diventando sempre più ostile. Cosa può dirci al riguardo?

Il nostro Paese, e in particolare il Mediterraneo, è una zona molto esposta al riscaldamento globale.
Nelle pubblicazioni scientifiche il Mediterraneo viene chiamato un hot-spot climatico.
Si tratta di un’area molto abitata, ricca di luoghi culturali e di turisti.
Il Mediterraneo è un mare piccolo che si scalda più velocemente rispetto ai grandi oceani perché è una zona di contatto tra i climi tropicali nord africani e quelli più temperati del Nord Europa. Questo contatto tra i due climi determina un netto cambiamento del clima mediterraneo, provocando così lunghi periodi di siccità con un conseguente rischio di desertificazione nelle regioni del centro sud. In quest’area, inoltre, ogni anno si registra un’ondata di calore africano che in passato era pressoché sconosciuta nel Mediterraneo.

Spesso le COP vengono bollate come “ambientalismo di facciata”.  Lei cosa ne pensa in merito, e come potrebbe essere incisiva la COP28?

Le conferenze delle parti delle Nazioni Unite, nate per regolare gli accordi internazionali sul clima, sono una sequenza di tentativi per ottenere una concreta regolamentazione delle emissioni di carbonio, ma che purtroppo portano a piccoli risultati. A mio parere, le Conferenze sono poco efficaci in quanto è il metodo con cui sono state condotte finora ad esserlo. Sono passati oltre 30 anni dalla firma della Convenzione quadro sul clima di Rio de Janeiro del 1992 e in questi trent’anni, fatta eccezione del Protocollo di Kyoto e dell’Accordo di Parigi, siamo rimasti sostanzialmente fermi e, soprattutto, notiamo che le emissioni climalteranti continuano a crescere. Se guardiamo i fatti, questo metodo non funziona. Sappiamo che la diplomazia internazionale fa ciò che può e che il compimento delle promesse prese durante le conferenze dipende dalla buona volontà dei 195 governi mondiali.

Non mi aspetto molto dalla COP28, presieduta da una figura che ha importanti interessi nel settore petrolifero. Temo che ci accontenteremo di piccolissimi passi in avanti, mentre l’urgenza del problema climatico imporrebbe un totale stravolgimento delle capacità per fronteggiare la gigantesca sfida del clima.

A suo parere, il Green Deal europeo rientra tra le priorità che il nostro Governo e Regioni dovrebbero perseguire?

L’Europa è stata all’avanguardia nel mondo grazie all’elaborazione, di quindici anni fa, di una strategia ambientale contro i cambiamenti climatici. Il Green Deal, che è stato presentato nel dicembre del 2019, rappresentava la sintesi finale e l’esito di questo grande impegno progettuale per riuscire a ottenere un ruolo guida nel mondo sulle politiche ambientali.

Negli ultimi anni, con le recenti vicende causate dal Covid e dalla guerra in Ucraina, si è sgretolata la convinzione europea. Il coinvolgimento europeo nella guerra in Ucraina è la crepa più profonda e contradditoria: da un lato la convinzione sulla difficoltà di fare investimenti in campo climatico e ambientale si contraddice con la rapida presa di posizione di tutti i Paesi europei che in tempi rapidi hanno fatto ingenti investimenti sulla costruzione di armi da inviare in Ucraina.

Quest’ultima è la più grande contraddizione che viviamo oggi cioè anteporre altri problemi all’urgenza ambientale che, invece, dovrebbe essere considerata una priorità, come è stato dichiarato nel Green deal europeo.

Infine, le recenti derive della politica europea, che definirei verso una destra non competente e scientificamente attenta, ma populista che insiste sui sentimenti di pancia delle persone poco intenzionate a cambiare il mondo perché mosse dalla paura che la transizione ecologica ed energetica possa peggiorare il loro livello di vita, assecondano una sorta di indifferenza o negazionismo dannoso.
Se alle prossime elezioni europee trionferanno queste visioni politiche è chiaro che il Green Deal verrà ulteriormente indebolito dalla errata convinzione che l’Europa conti poco sulla scacchiera internazionale delle emissioni, che non abbia la responsabilità sulle politiche di riduzione delle emissioni di CO2, al contrario dei grandi Paesi emettitori come Cina, India e Stati Uniti. Questa convinzione vanifica uno degli elementi fondativi dell’Unione europea, che risiede nel suo essere all’avanguardia culturale laddove – seppur in pochi – si dovrebbero portare avanti dei principi fondamentali al servizio di tutta l’umanità.

Qual è il suo giudizio sulla proposta del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) inviata dal Governo alla Commissione europea (link) e  il cui iter dovrebbe concludersi a giugno 2024?

A mio parere è troppo timido e troppo confuso. Non è presente nel PNIEC una visione sui temi ambientali che invece appaiono sempre subordinati agli interessi economici. Si tratta di uno di quei documenti fumosi che contengono belle parole come energie rinnovabili, ma che poi di fatto mantengono un’impostazione basata sul mantenere lo status quo, quindi il mantenimento della dipendenza energetica da fonti fossili. Sono documenti che portano a degli sviluppi della transizione energetica troppo lenti e poco convinti.
Senza fare troppe previsioni future mi basta osservare il presente, nel nostro Paese ci sono decreti, come quello sulle CER (Comunità Energetiche Rinnovabili), che non sono stati ancora approvati e tengono fermo un intero settore per il quale abbiamo già le soluzioni pronte sul territorio (cittadini, comuni già pronti e in attesa di un decreto che è in ritardo di un anno sulle previsioni, ostacoli che sembrano voluti, una strategia al contrario…).

Siamo onorati dell’ingresso della Società Meteorologica Italiana in Kyoto Club. Secondo lei quali dovrebbero essere le priorità delle aziende italiane, in particolare le imprese associate a Kyoto Club che operano nel settore energetico ambientale?

Penso che prima di tutto le aziende abbiano un interesse diretto e concreto a occuparsi della crisi ambientale soprattutto perché, da un punto di vista energetico, continuare a puntare tutto su un’economia dell’energia fossile, è molto debole e precario per un Paese che di energia fossile non ne ha in casa propria. L’azienda italiana, secondo me, non può che diventare più forte quanto più diventa autosufficiente.
Basandosi sull’efficienza energetica e sulle energie rinnovabili che abbiamo in Italia, piuttosto che rimanere ancorata a un mercato fossile che quando vuole, quando abbiamo visto con la crisi del gas in Ucraina, può strangolarci in pochi giorni. Quindi non è solo una questione ambientale, che rappresenta un’opportunità per il futuro per i nostri figli e per la qualità di vita del Paese, ma è anche una questione di interessi di sopravvivenza di impresa perché diventare autosufficienti, da un punto di vista energetico, è il miglior progetto di resilienza che si possa fare per il futuro.

Per saperne di più:

www.nimbus.it L. Mercalli – Il clima che cambia (BUR) 
https://www.rizzolilibri.it/libri/il-clima-che-cambia/
L. Mercalli – Non c’è più tempo (Einaudi)
https://www.einaudi.it/catalogo-libri/problemi-contemporanei/non-ce-piu-tempo-luca-mercalli-9788806243746/


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