Calano le vendite degli ingombranti, costosi ed energivori Suv
Dopo 10 anni calano in Italia le vendite dei giganti energivori delle strade urbane. Stesso trend nell’UE. Negli Stati Uniti calano del 28% nel primo trimestre dell\'anno.
Ingombranti, inquinanti, pericolosi e dagli alti consumi: sono queste le principali critiche, tutte rientranti nel concetto di “insostenibilità ambientale”, mosse ai giganti della strada: i Suv. Una sigla che è l’acronimo di “Sport Utility Vehicle”, denominazione che, secondo i detrattori di questi “bestioni” – ibrido tra un fuoristrada, una super utilitaria e una berlina di lusso -, è quanto di più ipocrita ci possa essere, data la loro prevalente utilizzazione nelle città piuttosto che sui percorsi sterrati di montagna o di campagna.||Utilizzazione che, viste le caratteristiche tecniche di un veicolo più adatto ad affrontare guadi e sterpaglia che traffico urbano e curve ad alta velocità, comporta la scarsa sicurezza per automobilisti ‘normali’ e pedoni, scarsamente visibili da una posizione tanto alta di guida. Pericoli anche per gli stessi conducenti, esposti a rischi dovuti al baricentro alto, al telaio rigido, ai pneumatici dal “fianco alto e cedevole”, il tutto su un peso variabile tra le 2 e le 6 tonnellate. Cause, queste, singole o concomitanti, di instabilità e conseguenti ribaltamenti, di scarsa tenuta su strada – accompagnata dalla difficoltà a effettuare manovre d’emergenza -, e di reazioni devastanti ai potenziali urti contro veicoli di massa superiore o barriere indeformabili. ||Se a questi rischi (risultati di valutazioni del Centro prove Quattroruote) si aggiungono l’inconveniente della difficoltà di trovare parcheggio e di affrontare con destrezza gli slalom necessari alla guida cittadina e il costo elevatissimo che comporta “abbeverare” i Suv (corrispondente alla percorrenza di 8-10 km/lt fuori dal centro urbano, che si riduce a 5-7 tra le mura cittadine) e la constatazione, nella maggior parte dei casi, del mancato utilizzo dello spazio offerto dai numerosi posti omologati e da bagagliai estremamente capienti, risulta quantomeno strano constatare che dal 1998 al 2007 le vendite dei Suv abbiano avuto un incremento costante: dal 2,72% all’8,49% sul totale degli autoveicoli venduti in Italia (le percentuali, riferite in realtà a tutti i fuoristrada, sono frutto di elaborazioni dell’Unrae su dati del ministero dei Trasporti).
A meno di non considerare l’enorme condizionamento sui compratori del valore di status symbol assunto da questo oggetto, rappresentante una condizione di ricchezza e di potere. Un valore così grande, e non soltanto per gli italiani, da passare in secondo piano solo di fronte alla necessità di fronteggiare la recessione economica e la crisi petrolifera, che se hanno colpito in generale il mercato dell’automobile, hanno provocato una battuta d’arresto particolarmente significativa nell’apparentemente irresistibile ascesa dei Suv: per la prima volta negli ultimi dieci anni è stato registrato un calo delle vendite, dall’8,34% dei primi nove mesi del 2007 all’8,22% dello stesso periodo del 2008 (dati del ministero dei Trasporti riferite ai fuoristrada in generale) e addirittura una differenza dell’8,21% tra il primo trimestre di quest’anno e quello precedente (da 60.483 a 55.519 vetture vendute). ||Una tendenza che risulta essere condivisa con quasi tutti gli altri Paesi dell’Unione europea. Se si prende in considerazione il quadro dell’intera Europa, il calo è stato del 4,23% (306.523 Suv venduti contro i 320.042 dello scorso anno). Una tendenza che segue il crollo che ha investito in primis gli Stati Uniti, dove le vendite dei grandi Suv sono diminuite del 28% nel primo trimestre dell’anno. E dove General Motors a giugno ha annunciato la chiusura di quattro impianti che producono Suv e pick up destinati al Nord America (e la probabile cessione del brand ‘Hummer’) e la stessa GM, insieme a Ford e Chrysler, ha chiesto al governo un finanziamento di 50 miliardi di dollari per riconvertire i propri stabilimenti produttori di “bisonti della strada energivori” a fabbriche di auto di dimensioni e consumi più ridotti.
Quegli Stati Uniti da dove il marchio Land Rover è emigrato per passare nelle mani del colosso indiano Tata, che da fine settembre è stato però costretto a ridurre la produzione a causa delle perdite troppo elevate subite nei suoi mercati di riferimento: Usa ed Europa.||I Paesi in cui il mercato dei Suv sta invece prendendo piede sono la Russia e la Cina, dove tutti i principali costruttori di auto, a partire da quelli americani, stanno intensificando la propria presenza per sfruttare un boom che, in totale controtendenza col resto del mondo, nel passaggio dal 2006 al 2007 ha messo a segno un aumento di vendite di ben il 58%. E poiché “chi può permettersi di acquistare un Suv in Cina è ancora una parte ristretta della popolazione, i nuovi ricchi ammirati e odiati, il Suv diventa così – l’analisi è del sito Greenreport.it -, come e più che in occidente, l’ostentazione di un livello di potere economico raggiunto. E attraverso il Suv si instilla nella società cinese la cognizione tutta occidentale di velocità e libertà individuale dalle costrizioni della natura.
La città si trasforma in una giungla (inquinata) dove solo chi è grosso, ricco e potente può farsi spazio, e poco importa se questo costa ai comuni mortali un altro po’ di inquinamento, che si va ad aggiungere alle emissioni delle centrali elettriche e delle fabbriche alimentate a carbone e al traffico già esistente che in pochi anni è diventato uno delle maggiori fonti di inquinamento delle città cinesi”.